I principi sulle relazioni internazionali nelle Costituzioni di Cuba del 1976 e 2019

Principles on international relations in the 1976 and 2019 Constitutions of Cuba

Mario Rafaniello, PhD.

 

 

 

 

 

 

 

 

DERECHO CRÍTICO: REVISTA JURÍDICA,

CIENCIAS SOCIALES Y POLÍTICAS
Fecha de recepción: 11/09/2023
Fecha de aceptación:13/10/2023


I principi sulle relazioni internazionali nelle Costituzioni di Cuba del 1976 e 2019

Principles on international relations in the 1976 and 2019 Constitutions of Cuba

Mario Rafaniello, PhD.[1]

Como citar: Rafaniello, M. (2023) I principi sulle relazioni internazionali nelle Costituzioni di Cuba del 1976 e 2019. Derecho Crítico: Revista Jurídica, Ciencias Sociales y Políticas. 4(4) 1-26. DOI: https://doi.org/10.53591/dcjcsp.v4i4.1113


Sintesi:
La Republica di Cuba, a distanza di oltre sessant’anni dalla vittoria di Fidel Castro e compagni, rappresenta ancora oggi un’esperienza unica nel suo genere. Anche nel nuovo millennio è il Partito Comunista dell’isola a governare le esistenze dei cubani e a dettare l’agenda politica nazionale e internazionale. Specchio di questa situazione è la recente Costituzione del 2019 che, al netto di nuove istanze e di un certo progressismo, colloca ancora la Repubblica in un immaginario ideale degno della Guerra Fredda: antimperialista, anticolonialista, anticapitalista, terzomondista e, soprattutto, socialista. Facendo un passo indietro fino agli anni Settanta verranno analizzate le due Costituzioni emanate sotto la guida del Partito e le importanti riforme a quella del 1976. Lo scopo è accompagnare lo studio delle principali vicende vissute da Cuba negli ultimi decenni con quanto scritto nelle Carte fondamentali riguardo esclusivamente ai rapporti internazionali in esse sanciti. In chiusura, si prova ad ipotizzare quale futuro suggerisca il costituzionalismo rivoluzionario per il popolo cubano.

Parole chiave: Costituzionalismo, Repubblica cubana, socialismo, Guerra Fredda, Castro

Abstract: The Republic of Cuba, more than sixty years after the victory of Fidel Castro and comrades, still represents a unique experience. Even in the new millennium, it is the island's Communist Party that governs the existences of Cubans and dictates the national and international political agenda. Mirroring this situation is the recent 2019 Constitution, which, net of many new instances and a certain progressivism, still places the Republic in an ideal scenario worthy of the Cold War: anti-imperialist, anti-colonialist, anti-capitalist, third-worldist and, above all, socialist. Stepping back to the 1970s, the two Constitutions enacted under the leadership of the Party and the important reforms to that of 1976 will be analyzed. The purpose is to accompany the study of the main events experienced by Cuba in recent decades with what is written in the Basic Charters regarding exclusively the international relations enshrined in them. In closing, an attempt is made to speculate what future revolutionary constitutionalism suggests for the Cuban people.

Keywords: Constitutionalism, Cuban Republic, socialism, Cold War, Castro

 

 

 

 

1. Introduzione

Il costituzionalismo cubano rappresenta un’esperienza giuridica e culturale unica nel proprio genere. Sin dai tempi della Costituzione spagnola di Cadice del 1812 (in epoca coloniale) a quelle di Guáimaro del 1869 e di La Yaya del 1897 (l’epoca della cosiddetta República en Armas), giungendo alla fase repubblicana dagli albori del XX secolo[2], le vicende cubane hanno appassionato generazioni di studiosi per la moltitudine e stratificazione di intrecci politici e culturali che esse hanno rappresentato. Il sistema giuridico cubano attuale è il frutto di questo fenomeno di stratificazione che abbraccia effettivamente un arco di tempo plurisecolare; basti pensare al difficile trapianto che ha comportato il passaggio dall’influenza statunitense all’avvicinamento al blocco sovietico (Rodriquez, 2020). Si potrebbe a buon grado, guardando il passato dell’isola con gli occhi dei posteri, definire Cuba “vittima delle circostanze” per via del susseguirsi di dominazioni, influenze e rivoluzioni che ne hanno caratterizzato l’esistenza fino ai giorni nostri. Non meno interessante è la fase più nota ai contemporanei: dalla turbolenta era batistiana alla spaccatura epocale avvenuta con la rivoluzione di Fidel Castro e compagni. Quest’ultimo avvenimento ha di fatto diviso la menzionata fase repubblicana in un necessario “prima” e “dopo” riguardante l’avvento del socialismo (Locchi, 2020) il quale ha segnato in maniera profonda il destino delle relazioni cubane col resto del mondo. Proprio questo aspetto è al centro del presente lavoro. Le Carte fondamentali, ovunque esse siano prodotte, sono il risultato di determinate circostanze spazio-temporali del momento unite in qualche modo a quanto di precedente vi sia stato prima di quello stesso momento (es. contesto geopolitico, ideologia dei governi, scenario nazionale ed internazionale di quella fase storica, background culturale, etnico, linguistico o religioso, ecc.). Ciò è quantomai evidente nel costituzionalismo cubano a cavallo tra la Costituzione del 1940 e quella del 1976 con la seconda che, seppur con alcune modifiche introdotte a ridosso del XXI secolo, ha governato la vita dei cubani fino al 2019. Per ragioni di spazio l’analisi in oggetto riguarda esclusivamente alcuni articoli selezionati delle due Costituzioni emanate sotto la guida del socialismo (comprese le riforme alla prima di esse[3]) e poc’anzi citate. Il focus della ricerca tende a porre un parallelo tra le vicende geopolitiche e i rapporti internazionali che hanno interessato Cuba fin dai primi anni Sessanta e i principi ricavabili dalle Carte costituzionali, così “vittime” delle circostanze -appunto- risalenti alla Guerra Fredda e al rapporto con un mondo che, al di là di quanto sta avvenendo sulla scena globale, ormai non esiste più. In effetti, e questo punto si riprende nelle conclusioni, il recente testo solenne dell’isola se da un lato pare aver inglobato, almeno nell’osservare il mondo esterno, che la previgente cornice internazionale sia venuta (quasi) del tutto meno, dall’altro evita di rompere una resiliente formula di potere che rende ancora più forte la posizione del Partito Comunista Cubano (PCC), senza venir meno alle idee rivoluzionarie al netto di timide -ma non per questo da sottovalutare- e progressive aperture verso il capitale straniero e alcune questioni all’ordine del giorno nell’agenda globale quali l’ambiente e i diritti umani.

Come accennato, vengono sacrificati lo studio dell’interessante Costituzione del 1940 (dell’era liberale e borghese) e del governo di Fulgencio Batista; costui fu favorito da un golpe che gli consentì di ottenere il potere il 15 gennaio del 1934. Da allora e fino al 1944 egli influenzò la politica cubana sia direttamente che tramite presidenti fedeli. Nel 1952, Batista mise in atto un nuovo golpe instaurando una vera e propria dittatura (Il Post, 2014). Detto questo, si può almeno accennare che la Carta del 1940 (che sostituiva quella del 1901) aveva il merito di essere tra le più progressiste dell’America Latina ma, purtroppo, poco efficace in quanto venne sospesa tra il 1952 e il 1954 da Batista e rimpiazzata da una serie di Statuti costituzionali che prevedevano una enorme concentrazione di potere nelle mani del dittatore. I partiti vennero sciolti, fu ripristinata la pena di morte e sospeso il diritto di sciopero. Sulle relazioni internazionali di grande importanza era l’art. 7 poiché sarebbe stato ripreso anche dai costituenti rivoluzionari. In esso Cuba condannava la guerra di aggressione e aspirava a vivere in pace con gli altri Stati mantenendo relazioni culturali e commerciali. Inoltre, lo Stato faceva proprie le pratiche del diritto internazionale ispirate alla solidarietà umana, al rispetto della sovranità dei popoli, alla reciprocità tra gli Stati e alla pace universale.

Altrettanto si tralascia lo studio della “leggendaria” impresa del M-26-7[4] e della seguente Ley Fundamental del 1959. Tuttavia, un breve cenno a quest’ultima risulta necessario in quanto primo atto normativo di peso del nascente regime di Fidel Castro, emanato ad appena un mese di distanza dall’ingresso trionfale dei ribelli nella capitale cubana avvenuto l’8 gennaio di quell’anno. Anche se il governo rivoluzionario non aveva inizialmente caratteri dichiaratamente socialisti bastarono pochi anni per avviare tale connubio come si spiega tra poche righe. Jacques Lévesque (1977) descrive la reazione della stampa sovietica alla vittoria dei rivoluzionari come apparentemente neutrale, almeno nell’immediato, evidenziando come a Mosca c’era titubanza riguardo l’atteggiamento politico che il nuovo regime cubano avrebbe potuto adottare. Lo studioso, altrettanto, ricorda come con le prima poderosa riforma agraria dei rivoluzionari siano svaniti i dubbi dei teorici sovietici al riguardo. Questa fase iniziale del nuovo corso cubano fu caratterizzata dalla Ley che, della Costituzione del 1940, riprese quasi integralmente il testo (De La Cuesta, 2001). Le aggiunte presenti nella Ley e i successivi provvedimenti servivano ad integrare la struttura istituzionale cubana con le necessarie disposizioni utili a portare avanti i bisogni del momento, in primis le ritorsioni contro i complici del precedente regime (ricavabili dai numerosi riferimenti alla “tiranía derrocada el día 31 de diciembre de 1958”). Ad ogni modo però, la Ley non conteneva nulla di rilevante riguardo i rapporti internazionali alla luce di quanto appena accaduto al paese; diversamente può dirsi per la realtà in quanto i primi anni Sessanta segnarono un punto di non ritorno tra Cuba la scena internazionale che sarebbe stato poi scolpito nella Carta successiva. Pertanto, tralasciando il testo del 1959, risulta più utile una brevissima descrizione di quegli anni che posero Cuba al centro delle relazioni internazionali come mai avvenuto prima (e come mai sarebbe avvenuto successivamente).

I rapporti internazionali di Cuba dei primi anni Sessanta furono contraddistinti dal crescente astio politico-economico con gli Stati Uniti e dal contrapposto rapporto di cooperazione con l’Unione Sovietica (URSS). Almeno nelle primissime fasi, il regime castrista fu tollerato da Washington (ISPI, 2017) ma bastarono le prime iniziative del nuovo governo per creare forti tensioni, come si dirà a breve. Per quanto riguarda, invece, i primi contatti ufficiali con i sovietici, già il 4 febbraio 1960 il Vice primo ministro di Mosca, Anastas Mikojan, visitò Cuba e le due parti firmarono, il 13 febbraio, il primo accordo commerciale cubano-sovietico, cosiddetto “petrolio in cambio di zucchero”[5]. Accordi simili furono poi stipulati con paesi come la Polonia, la Cecoslovacchia, la Germania orientale e la Repubblica Popolare cinese (Roucek, Della Croce, 1963). Il successivo 6 luglio gli Stati Uniti ridussero e poi soppressero del tutto le importazioni di zucchero dall’isola[6] e, il giorno seguente, il Parlamento cubano decretò la nazionalizzazione delle società statunitensi operanti nel paese caraibico. Seguirono le leggi sulla riforma agraria e urbana (14 ottobre 1960) e, l’anno seguente, la Legge di nazionalizzazione dell'istruzione, il 7 giugno 1961 (De La Cuesta, 2001). Il 19 ottobre 1960 vi fu la reazione statunitense alle politiche cubane con l’embargo totale sulle esportazioni verso Cuba (fatta eccezione per medicinali e alimenti). Tale misura era una risposta anche alla crescente campagna anti-USA da parte delle autorità cubane e alla discriminazione subita dal commercio statunitense per via delle suddette nazionalizzazioni e delle misure imposte alle esportazioni (Roucek, Della Croce, 1963). Entro la fine dell’anno 1961 i paesi della regione quali Repubblica Dominicana, Guatemala, Nicaragua, Perù, El Salvador, Honduras e Costa Rica ruppero le relazioni con Cuba. All’elenco devono aggiungersi, nel gennaio di quell’anno, proprio gli Stati Uniti (che avevano riconosciuto il governo rivoluzionario già il 7 gennaio 1959). Altri, paesi invece si limitarono a richiamare il proprio personale diplomatico oppure a ritirare del tutto le proprie ambasciate da Cuba. Gli unici paesi a mantenere normali rapporti con Castro furono Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador, Messico e Panama (Roucek, Della Croce, 1963). Non sorprende, comunque, che il 1961 (per ovvi motivi lo stesso potrebbe dirsi del 1962) sia stato un autentico spartiacque della storia moderna cubana: il giorno prima della fallimentare spedizione della Baia dei Porci del 17 aprile, lo stesso Castro aveva dichiarato[7], che la rivoluzione avvenuta pochi anni prima era stata “socialista” e si era realizzata proprio “sotto il naso” del vicino nordamericano; nel medesimo discorso il Líder Máximo celebrava anche la grandezza sovietica. Inoltre, all’indomani della tentata invasione, Castro tenne un altro discorso sia di commiato per i valorosi caduti che per celebrare la vittoria delle forze rivoluzionarie. Non meno rilevante fu il discorso del 1° maggio 1961 in cui Castro pronunciò le celebri parole “Si a Mr. Kennedy no le gusta el socialismo, bueno, a nosotros no nos gusta el imperialismo, a nosotros no nos gusta el capitalismo”[8].

Si potrebbe infine affermare che l’evoluzione rivoluzionaria socialista, allora, è avvenuta in un lasso di tempo tra la Ley e l’operazione di Baia dei Porci, col 1960 che pone le basi dell’avvicinamento di Castro al pensiero marxista-leninista e all’URSS con cui i rapporti economici diventarono sempre più stretti e rafforzando, allo stesso tempo, il progressivo posizionamento del regime socialista cubano nel mondo, definito “irrevocabile” con la riforma costituzionale del 2002, come si vedrà in altra sede (Mastromarino, 2020). In ogni caso, giunta ormai al giro di boa degli anni Settanta e, al contempo, della Guerra Fredda, l’esistenza della Ley Fundamental e della successiva legislazione rivoluzionaria nell’ormai consolidato regime castrista, ponevanp la questione di una nuova Carta che meglio rappresentasse anche il nuovo assetto di rapporti internazionali intrapresi dal governo socialista. La Ley, pur sempre modellata sulla Carta del 1940, rischiava di presentarsi come un vetusto residuo ancorato in parte al passato borghese e del tutto avulso dal contesto reale dello spirito rivoluzionario (Cannataro, 2015). De La Cuesta (2001), riferendosi a quel periodo, parla di “doppio ordinamento giuridico” nel senso che insieme all’ordine giuridico positivo (quindi scritto e conoscibile) vi era l’ordine “vero e legale” prodotto direttamente dai funzionati statali che, laddove si adattava perfettamente alle logiche socialiste, prevaleva spesso sul primo. Dalla 1959 in poi le riforme (come quelle agrarie e le nazionalizzazioni) necessarie a “sincronizzare” l’economia e la società cubana alle esigenze dettate dallo schieramento col blocco sovietico, resero quel testo obsoleto. Il costituente cubano, nella prima metà degli anni Settanta, intraprese la strada tesa ad eliminare la coesistenza di fatto tra due fonti fondamentali: una formale e l’altra materiale, con la seconda che aveva reso inutile la prima. Come fanno notare Adele Del Guercio e Alessandro Guida (2019), l’avvento di una nuova Carta incarnava il naturale sbocco di questo impervio processo istituzionale.

Il prossimo paragrafo viene interamente dedicato alla Costituzione del 1976 poiché questo documento si contraddistingue per il forte impianto ideologico intriso di riferimenti alla gloria del socialismo e alla centralità del PCC. Il successivo paragrafo tratta invece delle riforme costituzionali “figlie” rispettivamente della fine della Guerra Fredda e dell’avvento degli anni Duemila, loro malgrado questi segnati sin dall’inizio dal terrorismo internazionale, variabile che tuttora incide profondamente sulle relazioni internazionali. Prima delle conclusioni spazio viene lasciato alla Carta del 2019 le cui caratteristiche pongono alcune riflessioni. È lecito chiedersi, in chiusura del lavoro, quale futuro possa attendere Cuba, un paese “incastrato” tra le incognite e le spinte dei nuovi anni Venti (ambiente, nuove tecnologie, diritti civili, minaccia nucleare, ecc.) e quelle ispirate al pensiero di Castro, Martí, Marx, Engels e Lenin ai tempi della globalizzazione, con la società cubana proiettata difficoltosamente nel XXI secolo. Le Costituzioni rappresentando la spina dorsale dell’identità delle nazioni, raccontano più di quanto in esse scritto. Lo studio incrociato degli atti citati permette di percorrere gli ultimi decenni di storia dell’isola da un punto di vista privilegiato, quello delle relazioni internazionali alla luce del costituzionalismo rivoluzionario.

2 La Costituzione del 1976

Tra le ragioni (alcune delle quali già descritte) che portarono alla luce una nuova Costituzione vi fu, secondo la dottrina che sul punto si ritiene concorde, la volontà di stabilizzare l’assetto rivoluzionario cubano, ormai collaudato (Mastromarino, 2020). La Carta del 1976, la quale si inseriva orgogliosamente nella galassia socialista di matrice sovietica, venne promulgata il 24 febbraio 1976, a coronamento di un lungo processo istituzionale. Come accennato in altra sede, la precedente coesistenza di facciata tra la Ley e la legislazione rivoluzionaria non impedì affatto al regime castrista di promulgare leggi che si ponevano, di volta in volta, come verbo della nascente costruzione ideologica cubana. Questa Costituzione fu quindi un prodotto voluto della rivoluzione, modellata su quella sovietica del 1936 (Triana, 2019) e ispirata a quelle di diversi paesi dell’Europa orientale (Del Guercio, Guida, 2019) e con un portato tutto nuovo nel rapporto con gli altri Stati. A differenza della precedente Carta che si apriva con poche righe sufficienti a sancire il carattere “independiente y soberano” dello Stato, quella del 1976 comincia con un lungo Preambolo[9] in cui viene menzionata la guerra di indipendenza contro il colonialismo spagnolo, insieme ad una sequela di affermazioni solenni dall’indubbio impatto ideologico. Partendo all’indietro dagli schiavi e aborigeni oppressi si giunge, rivendicando un legame ideale, ai movimenti indipendentisti di fine XIX secolo. È chiaro come nella costruzione del sentimento patriottico socialista tali valori abbiano la funzione di ispirare le nuove generazioni, herederos delle precedenti lotte per la libertà. Il filosofo Karl Popper affermava, come riporta Katarzyna Dembicz (2019), appunto, che la trasformazione deve essere alimentata con l'eredità del passato, poiché in grado di influenzare la forma e il corso dei processi di cambiamento. La stessa autrice evidenzia come questo aggancio al passato trova altri esempi nelle Costituzioni (anch’esse figlie di eventi storici ben precisi) costaricana (1949), messicana (1917) e spagnola (1978). Da sottolineare che viene specificato[10] come la vittoria finale del 1898 sia stata strappata via dall’intervento militare statunitense (definito in maniera dispregiativa yanqui[11]). Nella parte centrale del Preambolo prende forma la rottura rispetto al passato liberale (Orlandi, 2020)[12]. Cuba si consegna all’internazionalismo proletario[13], consacrando la “amistad fraternal y la cooperacíon” con l’URSS e con gli altri paesi socialisti. Pertanto, i protagonisti della narrazione costituzionale divennero coloro ritenuti i detentori del nuovo spirito cubano, come gli obresinos e i campesinos. Ad essi Castro si era rivolto nella sua importantissima dichiarazione dell’aprile 1961: “Compagni operai e contadini: questa è la rivoluzione socialista e democratica degli umili, con gli umili e per gli umili”[14]. I nuovi articoli 10, 11 e 12 confermano questo sentimento[15]: nel primo sono definiti i confini territoriali della sovranità dello Stato, il quale “repudia y considera ilegales y nulos los tratados, pactos o concesiones concertados en condiciones de desigualdad o que desconocen o disminuyen sus soberanía sobre cualquier porción del territorio nacional”. Non è ancora esplicito il riferimento agli Stati Uniti (lo sarà in un certo modo nel 2002 come si vedrà più avanti), ma questa norma rivendica il diritto dello Stato cubano a non subire ulteriori angherie territoriali, e proprio quest’ultima precisazione non è casuale. Il pensiero va alla base di Guantanamo, acquisita dagli statunitensi nel 1903 con un accordo firmato dall’allora presidente cubano (il primo) Tomás Estrada Palma, e ancora oggetto di lamentele da parte del regime cubano: Fidel Castro ha denunciato l’irregolarità dell’accordo fino ai suoi ultimi anni di vita. Il tema venne ripreso con forza dal fratello Raul nel 2016 in occasione della storica visita dell’allora presidente statunitense Barack Obama (Roberts D., Watts J, 2016).

L’art. 12 (lett. b), ripudia l’intervento diretto o indiretto negli affari di uno Stato da parte di un altro così come l’aggressione armata, il blocco economico e qualsiasi altra forma di coercizione mirata a minacciare l’integrità degli Stati e dei loro elementi economici, politici e culturali. Lo studioso Mervyn J. Bain (2005), però, segnala come a metà degli anni Settanta Cuba cercasse in qualche modo di essere più indipendente da Mosca sulla scena internazionale e a maggior ragione con gli interventi in Angola ed Etiopia, mirati anche a questo scopo. Il coinvolgimento sovietico in Africa condusse i due paesi rapidamente a condividere i reciproci interessi per ottenere risultati nelle questioni africane. Secondo Bain un’occasione importante per Cuba sotto questo profilo terzomondista fu la Conferenza del Movimento dei Paesi Non Allineati dell’estate 1979, ospitata proprio a L’Avana. Sfortunatamente per quelle ambizioni, qualche mese dopo l’URSS invase l’Afghanistan e Cuba fu l’unico dei paesi del suddetto Movimento a non appoggiare la risoluzione di condanna dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) (Bain, 2005). In ogni caso, il combinato degli artt. 11 e 12 sancisce il pieno inserimento della Repubblica caraibica nella comunità socialista mondiale dell’epoca, alla luce dei principi dell’internazionalismo proletario, elencati nel resto del secondo tra questi articoli. Vedasi la lettera f) dell’art. 12 con cui Cuba “basa sus relaciones con la Unión de República Socialistas Soviéticas y demás países socialistas en el internacionalismo socialista, en los objetivos comunes de la construcción de la nueva sociedad, la amistad fraternal, la cooperación y la ayuda mutua”. Continuando la lettura costituzionale, Cuba condanna l’imperialismo in ogni sua forma, l’embargo economico e le minacce esterne, mentre promuove le guerre di liberazione nazionale e finanche la violenza rivoluzionaria contro le dittature. Soprattutto, Cuba “considera su derecho y su deber internacionalista ayudar al agredido y a los pueblos que luchan por su liberación”, andando in direzione contraria a quanto poc’anzi detto. In quegli anni, le Fuerzas Armadas Revolucionarias cubane erano già intervenute in altri contesti in soccorso della lotta antimperialista o pro-socialista di alcuni paesi, come ad esempio in Ghana nel 1961, in Algeria nel 1963 e in Siria nel 1973 (Williams, 1988). Il più noti interventi cubani durante la Guerra Fredda si ebbero, lo si è accennato, in Angola nel 1975 ed Etiopia nel 1977. Infine, sempre nel medesimo articolo lo Stato cubano “aspira a integrase con los países de América Latina y del Caribe” [16] e mantenendo, comunque, rapporti con paesi aventi sistemi politico-economici diversi ma che ne rispettano la sovranità e, a corredo di tale apertura, determina “su afiliación a organismos internacionales[17] y su participación en conferencias y reuniones de ese carácter”.

3. El Periodo especial e le riforme del 1992-2002

La caduta del Muro nel 1989 e poi il collasso finale sovietico ebbero un riverbero globale che pochi eventi nella storia possono vantare. Il regime cubano venne investito da questi cambiamenti e, col venire meno della protezione e dei finanziamenti di Mosca, l’isola sprofondò velocemente nella crisi nazionale e nell’isolamento internazionale. Tuttavia, la fine della Guerra Fredda non si rivelò un’occasione di distensione per i rapporti cubano-statunitensi: «durante le presidenze di George H.W. Bush e di Bill Clinton, nella convinzione di poter finalmente dare la spallata finale al nemico storico, gli Stati Uniti rafforzarono ulteriormente l’embargo, la cui competenza passò al Congresso e la cui eliminazione venne condizionata al ripristino della democrazia e all’esclusione definitiva dei fratelli Castro dalla vita politica» (Del Guercio, Guida, 2019). Altrettanto disastrosa per l’economia cubana fu l’interruzione, da parte del Cremlino, dei sussidi in un mondo che vedeva l’economia di mercato espandersi a dismisura. Il danno economico subito da Cuba con la caduta dell’URSS si inseriva nel ventaglio di crisi socioeconomiche che si abbatterono, per la stessa ragione, sui paesi del sistema COMECON, di cui Cuba era membro dal 1972 (Bobes, 2013). Questa inedita fase storica per la Cuba rivoluzionaria si concretizzò nel cosiddetto Período especial en tiempos de paz, cioè in un lasso di tempo particolarmente duro per i cubani sotto molteplici profili. Basti pensare che ne seguì persino una crisi alimentare tale da recare emergenze sanitarie e una maggiore mortalità[18]. Naturalmente, il venir meno dell’assistenza sovietica non era l’unica causa di quel dramma. L’isola pagò come mai prima la mancanza di infrastrutture industriali sia manifatturiere che alimentari adeguate; una lacuna strutturale che impedì a Cuba di compensare con produzioni proprie quelle che fino ad allora importava dal blocco orientale d’oltreoceano, petrolio compreso. Negli anni Settanta l’interscambio Cuba-URSS era ancora molto rilevante grazie alla firma di importanti accordi commerciali con i sovietici che rappresentavano ben l’85% del commercio estero di Cuba, oltre ad essere il principale mercato per il suo zucchero e, appunto, il più grande fornitore di petrolio e beni di consumo dell'isola (Lima, 2021). Questo periodo speciale iniziò a mitigarsi solo a metà degli anni Novanta con la lenta ripresa dell’economia cubana, cui fornì un contributo del tutto nuovo una legge del 1995 sugli investimenti esteri (Vacca Leon, F.G. Romero, 2018). Non a caso proprio in quell’anno la Commissione europea si poneva la questione della possibile transizione “pacifica e totale” di Cuba all’economia di mercato, essendo l’isola ormai orfana del COMECON, sciolto nel 1989[19].

Le timide aperture cubane, come le riforme degli anni Ottanta riguardanti, ad esempio, i cosiddetti free-markets e la Ley General de la Vivienda -con i suoi aggiornamenti- per il settore immobiliare (Iacometti, 2020), si inserivano nella crescente consapevolezza che risultava ormai impossibile mantenere intatta quella rigidità insita nel sistema economico socialista e anche la Costituzione doveva adattarsi ai colpi di coda del Novecento, seguendo le indicazioni che già nel 1986 erano emerse nel corso del III Congresso del PCC[20] secondo cui i tempi erano maturi per rendere più flessibili le leggi sul piano economico. Alla luce di quanto descritto, dal punto di vista costituzionale, la Carta del 1976 risultò improvvisamente arcaia (Fernandez Estrada, 2017). Sicché, nel IV Congresso del PCC svoltosi nel 1991, i membri del Partito analizzarono scrupolosamente gli effetti della crisi in corso e valutarono l’esigenza di apportare aggiornamenti alla Costituzione. Il processo fu formalizzato dall’Assemblea Nazionale del Potere Popolare (ANPP)[21] che approvò in tempi rapidi la legge di riforma costituzionale del 12 luglio 1992[22]. Senza soffermarsi oltre sul procedimento in sé, alla fine dello stesso la Carta rivoluzionaria ne risultò modificata con l’aggiunta di tre capitoli, con una riduzione negli articoli totali (da 141 a 137) e con la modifica complessiva di ben 77 articoli, di cui si esaminano solo quelli che interessano questo lavoro. Ciò che conta, e lo stesso vale per la riforma del 2002, è che l’intervento in oggetto ebbe il compito ingrato di aggiornare (Poyal Costa, 1995) la Carta fondamentale della Repubblica al nuovo scenario geopolitico che si era venuto a creare, ma non solo. Era evidente allo stesso regime che al di là di quello che accadde all’URSS fossero necessarie alcune “rivisitazioni” riguardanti, ad esempio, il sistema economico e le nuove strategie diplomatiche da intessere. Ad ogni modo, fu innegabile che improvvisamente la longa manus di Mosca sembrò un residuo storico, non certo da rinnegare, ma che non rispecchiava più la realtà dei fatti. Le riforme del 1992 e del 2002 intervennero entrambe in tal senso, a partire dall’eliminazione dei riferimenti all’URSS stessa (l’internazionalismo proletario viene rimosso dall’art. 12 e lasciato solo nel Preambolo).

Con la riforma del 1992 l’art. 1 viene in riscritto e ampliato specificando, in maniera inedita per questa Costituzione (ma non per quella del 1940 come già detto), che Cuba è uno stato indipendente e sovrano[23]: «Cuba es un Estado socialista de trabajadores, independiente y soberano, organizado con todos y para el bien de todos, como república unitaria y democrática, para el disfrute de la libertad política, la justicia social, el bienestar individual y colectivo y la solidaridad humana». Rispetto alla versione originale[24], vengono eliminati i riferimenti anacronistici a operai e contadini, in favore di un più generico e moderno riferimento ai lavoratori. Inoltre, con la riforma del 1992 nel Preambolo la frase “Guiados por la doctrina victoriosa del marxismo-leninismo” fu sostituta da “Guiados por el ideario de José Marti y las ideas politico-sociales de Marx, Engels y Lenin”. Secondo De La Cuesta (2001) tale intervento si rese necessario per via della sconfitta di quel modello ideologico e per la sua espulsione dalla maggior parte dei paesi che lo praticavano. L’essere rimasta orfana del socialismo sovietico non significava esserlo anche del socialismo (De La Cuesta, 2001). Altri regimi a guida politica comunista sopravvissero, come la stessa Cuba castrista, allo shock storico, in altre parti del mondo. Ma il regime rivoluzionario non aveva né i “numeri” cinesi, né il fanatismo nordcoreano dalla sua, come si dirà in chiusura. Ecco che la Repubblica di Cuba appariva agli occhi del mondo in tutta la sua natura anomala: un feudo comunista nell’emisfero sbagliato. Nonostante le enormi difficoltà patite dalla popolazione cubana durante il Periodo especial, sia il PCC che il Líder Máximo, ormai già anziano, riuscirono a tenere duro dinanzi agli scossoni “democratici” provenienti dall’interno e dall’estero. L’aver eliminato taluni riferimenti al socialismo in determinati punti della Carta del 1976 non intaccò assolutamente il primato di questa ideologia politica. Per esempio, il riferimento al socialismo scompare nel complesso (ma resta intatto altrove) art. 12 che viene aggiornato: la Repubblica “riafferma” la volontà di integrarsi e collaborare con gli altri paesi latinoamericani e caraibici, eliminando il riferimento ai paesi socialisti presenti prima della riforma, confermando l’intenzione dei costituenti casomai di aggiornare e non stravolgere l’assetto esistente. Fondamentale poi, è l’inserimento alla lett. b) del medesimo articolo della volontà di rispettare i principi della Carta dell’ONU e degli altri tratti internazionali di cui Cuba è parte. Alla lettera ch), importantissimo, si propugna l’unità di tutti i paesi del Terzo Mondo. Questi aspetti meritano attenzione. Il regime cubano, oltre all’intervento diretto dei suoi soldati in altri scenari decisamente “terzomondisti”, si distinse in ambito ONU all’interno del citato altrove Movimento dei Paesi Non Allineati, di cui Fidel Castro fu anche Segretario generale dal 1979 al 1983 e nel biennio 2006-2008[25]. Lo Stato cubano ne faceva parte proprio da quel fatidico 1961, nello specifico in occasione dell’avvio del Movimento durante la Conferenza di Belgrado. In un discorso del 1979[26] all’ONU, Fidel Castro riconosceva a questo progetto la capacità di rappresentare gran parte dell’umanità e di battersi per promuovere i principi della convivenza pacifica nelle relazioni internazionali.

Un decennio dopo la riforma esaminata, il contesto globale cambia repentinamente ancora una volta. L’11 settembre 2001 pose le basi per una nuova era battezzata sin da subito in un generalizzato clima di terrore in Occidente. L’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush si adoperò nello stilare e nel cercare consensi riguardo una lista di “stati canaglia” facenti parte di un presunto “Asse del Male”[27], in cui finì anche Cuba nel 2002[28]. Indirettamente, fu il leader della Casa Bianca a favorire il fervore costituzionale cubano: in occasione del centesimo anniversario dell’indipendenza cubana dagli Stati Uniti, il 20 maggio 2002, Bush tenne un acceso discorso[29]. Se da un lato egli sottolineava la vicinanza al popolo cubano, dall’altra condannava apertamente il regime “tirannico” di Castro. Bush, soprattutto, invitò il Líder Máximo ad allentare la morsa del regime sull’economia e ad aprirsi seriamente ai privati. Se Cuba voleva porsi agli occhi del mondo come un posto capace di attrarre capitale estero, avrebbe dovuto intervenire anche sui diritti democratici, sostenne il Presidente, che concluse evidenziando l’anomalia di un paese non democratico nell’emisfero occidentale. La risposta Castro la darà nei fatti, sia alla controparte che ai promotori del Progetto Varela, chiudendo qualsiasi spiraglio ad un possibile cambio di rotta politico ed economico avanzando prontamente delle modifiche alla Carta costituzionale. Infatti, in quegli anni, oltre alle pressioni di Washington, nello stesso periodo il regime cubano si vide messo in discussione seriamente dall’interno tramite il menzionato Progetto, sostenuto da decine di migliaia di firme per chiedere l’introduzione di norme più rispettose della democrazia e un’economia più aperta. Il governo rispose lanciando a sua volta una riforma costituzionale che condusse alle suddette modifiche del 2002, tra cui all’art. 3, sancire il carattere “irrevocable” del socialismo e, all’art. 11, l’invalidità di qualsiasi trattato, patto o concessione internazionale negoziata sotto minaccia o coercizione di una potenza straniera (Iglesias, 2003).

Potrebbe rilevarsi che, se la nascita della Costituzione del 1976 arrivò in netto ritardo rispetto all’avvento del regime rivoluzionario, le modifiche del 1992 e del 2002 furono il prodotto di procedure assai rapide. La nuova legge costituzionale vide la luce il 26 giugno 2002, a poco più di un mese dal discorso di Bush. Questa volta vennero modificati solo tre articoli[30] e aggiunta una disposizione speciale. La modifica dell’art. 3 riporta tutta la tensione diplomatica appena descritta inserendo, nella celebrazione dell’eroica resistenza dinanzi alla guerra di qualunque tipo, quella a fronte della guerra economica da parte della “potencia imperialista mas poderosa que ha existido”. Seppur non menzionato, è implicito il riferimento agli Stati Uniti e al loro “bloqueo”. L’articolo si chiude con una frase nuova dal sapore passato e che tuttora giganteggia nella Costituzione del 2019: Cuba non volverá jamas al capitalismo; un concetto anticipato dalla dichiarazione del carattere “irrevocabile” del socialismo e del sistema politico e sociale rivoluzionario sancito nella Costituzione Altra aggiunta rilevante, poiché giunta sino ad oggi, riguarda l’art. 11 cui si aggiunge la proibizione di negoziare accordi sotto minaccia o aggressione di una potenza straniera. Quest’ ultima, se non era stata nominata nella modifica all’art. 3 vista sopra, viene palesata nella Disposizione speciale aggiunta al testo dopo l’art. 137. Questa disposizione informa i cittadini che la riforma costituzionale ha consentito l’affermazione fondamentale del carattere irrevocabile del socialismo “como digna y categorica respuesta a las exigencias y amenazas del gobierno imperialista de Estados Unidos el 20 de mayo del 2002”.

Lo scenario appena descritto rappresentava pur sempre una Cuba uscita fortemente ridimensionata sul piano internazionale e con un arcigno Fidel Castro sempre più indebolito dalla malattia e dall’età avanzata. Nonostante ciò, il leader cubano non si è mai del tutto fatto da parte ed anzi, «all’alba del nuovo millennio riscopre le proprie radici latinoamericane ed inizia a stringere numerosi rapporti di cooperazione con i principali attori della scena regionale come Argentina, Brasile, Bolivia e Venezuela. In particolare con quest’ultimo i rapporti sono molto stretti tanto che nel dicembre del 2004 Castro stringe un accordo con l’allora presidente venezuelano Hugo Chavez noto come ALBA (Alianza Bolivariana para América Latina y el Caribe), un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i Paesi del Sud America e dei Caraibi» (ISPI, 2017). 

4. La Costituzione del 2019

Il 10 aprile 2019, a seguito di un iter istituzionale che coinvolse attivamente sia le istituzioni che i cittadini, venne promulgata la nuova Carta fondamentale cubana[31]. Tale aggiornamento era particolarmente caldeggiato durante la presidenza di Raul Castro (2008-2018) con lo scopo di ancorare a solide base le riforme economiche fin a quel punto intraprese e rinnovando un testo risalente alla piena Guerra Fredda ormai anch’esso anacronistico. Nel 2018 il compito fu portato avanti dal successore Miguel Díaz-Canel nello spirito di non stravolgere l’assetto portante del regime ma invece di superare quei punti della Carta ormai considerati ingombranti poiché fin troppo legati all’epoca in cui la stessa fu redatta (Orrù, 2020). Innanzitutto, va subito precisato che il PCC ne esce ancora una volta rafforzato visto che il nuovo art. 5 della Costituzione lo qualifica espressamente come partito unico «Fino alla riforma del 2019, infatti, nonostante il PCC fosse l’unico partito presente sulla scena politica cubana, non vi era un espresso vincolo costituzionale in tal senso. Oggi, al contrario, come nota nel suo saggio Maria Angela Orlandi, il partito è definito come «único, martiano, fidelista, marxista y leninista», anche se – poi – si precisa che il partito si basa sul carattere democratico e sul rapporto permanente con il popolo» (Cuocolo, 2020). Nonostante, quindi, questo assetto di potere rafforzato a dispetto di alcune delle proposte emerse nella fase del dibattito popolare del 2018, la Costituzione tiene comunque conto di molte istanze attuali come il cyberspazio, le armi nucleari, il terrorismo, i cambiamenti climatici, la cyberguerra, la tutela dei minori come soggetti di diritto[32], i diritti umani, gli investimenti stranieri (Del Guercio, Guida, 2019). Riguardo i penultimi, in realtà, l’introduzione dei derechos humanos, secondo Mastromarino (2020) deve essere contestualizzata nel peculiare assetto politico-ideologico del governo cubano, ben diverso da quello rinvenibile nel costituzionalismo occidentale e in particolare nel cosiddetto “nuovo costituzionalismo latinoamericano”. Come è stato sottolineato in dottrina, il profilo dei diritti in generale resta pur sempre «schiacciato sull’idea della loro funzionalità rispetto alla causa della società rivoluzionaria e non della prosperità dei singoli, secondo le aspettative della legalità socialista la cui piena realizzazione è considerata (art. 9) un dovere di tutti» (Mastromarino, 2020). Nelle conclusioni il discorso dei diritti umani viene ripreso perché, e basta aver seguito il dibattito internazionale degli ultimi anni, gli stessi sembrano essere diventati una sorta di “metro” da parte delle democrazie occidentali nei rapporti con altre realtà, almeno a parole. Secondo Ferrari (2020) ci sarebbe poco da sperare su questo punto a causa di fattori come la repressione del dissenso e della libertà di stampa, l’impossibilità di tutelare effettivamente i propri diritti e, infine, la mancanza di «qualsiasi organismo indipendente per la verifica del rispetto dei diritti umani». Altra dottrina, al contrario, ritiene che l’inserimento dei diritti umani nella Carta costituzionale sia foriero dell’effettiva capacità di Cuba di porsi come un punto di riferimento in tal senso, non senza qualche difficoltà strutturale, ma pur sempre da vedere con ottimismo (Cuesta Morúa, 2021). Ai fini di quel che interessa, è bene far presente che nel periodo in cui si è svolta l’intera procedura la situazione di Cuba non era molto diversa da quella che in maniera atavica l’ha accompagnata negli ultimi decenni, con stime per la crescita al ribasso. Un quadro rallentato dal rigido sistema dell’economia pianificata e nel quale si è cercato, con timidi risultati, di inserire aperture che a distanza di anni sembrano spiragli ancora troppo stretti dal quale far passare ossigeno. Tutto ciò sullo sfondo del deleterio bloqueo e di un’amministrazione a Washington molto altalenante nei rapporti con la controparte caraibica a seconda di chi ricopra la carica di Presidente. Proprio nell’anno in cui il popolo cubano dava l’addio al Líder Máximo[33], nel 2016, Donald Trump veniva eletto alla Casa Bianca e il cambio di rotta con la precedente amministrazione Obama fu immediato con, nel 2017, l’ordine di rimpatrio del personale diplomatico non essenziale. 

Tornando alla Costituzione e passando direttamente alle relazioni internazionali, nel nuovo testo esse sono regolate quasi interamente dall’art. 16. Viene riaffermato lo spirito internazionalista e antimperialista della Repubblica, secondo cui nessun accordo internazionale con altro Stato potrà essere negoziato sotto minaccia, costrizione o aggressione. Questo principio è in parte ribadito nell’osservanza del diritto internazionale e dei principi fondamentali della Carta dell’ONU (aggiunti nel 1992 come visto) da parte dello Stato e, in particolare, nel divieto di minaccia e uso della forza nelle relazioni. Il cuore dell’articolo in esame, e che riprende le precedenti esperienze, sottolinea la volontà dello Stato di porsi al centro delle relazioni con i paesi dell’America Latina e dei Caraibi e farsi promotore dell’unità di tutti i paesi del Terzo Mondo, condannando -ancora- l’imperialismo, il fascismo, il colonialismo e il neocolonialismo e garantendo la protezione dei menzionati diritti umani (mai citati nelle precedenti Carte) ripudiando qualunque forma di discriminazione. In aggiunta al discorso in essere, Cuba è si è sempre contraddistinta per la partecipazione alle maggiori organizzazioni internazionali (soprattutto nell’area geopolitica di riferimento) come nel caso del G77 dell’ONU, della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), dell’Associazione degli Stati caraibici (ACS), Alianza Bolivariana para América Latina y el Caribe (ALBA). Per quanto riguarda i recenti rapporti con l’Unione Europea (UE), citata marginalmente riguardo al 1995, si segnala un rilancio delle relazioni con la firma nel dicembre 2016 dell’Accordo di Dialogo Politico e Cooperazione, entrato in vigore provvisoriamente a novembre 2017 (ad eccezioni di alcuni articoli) e recante sin dall’art. 1 l’impegno reciproco «a favore di un sistema multilaterale solido ed efficace e del pieno rispetto e dell'osservanza del diritto internazionale e delle finalità e dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite»[34]. Questa partnership, in ogni caso, non è da sottovalutare in quanto l’UE rappresenta addirittura il principale partner economico-commerciale di Cuba, con circa 700 imprese europee presenti (MAECI, 2023); dato confermato anche durante una visita sull’isola dall’Alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (Agenzia Nova, 2023). Tuttavia, recentissima è la dura presa di posizione delle autorità cubane proprio contro l’UE, accusata di azioni manipolatorie e mancanza di trasparenza in occasione della preparazione III vertice CELAC-UE svoltosi a Bruxelles lo scorso luglio (Prensa Latina, 2023). Non solo: in una propria dichiarazione[35] la Commissione per le Relazioni Internazionali dell'ANPP ha respinto con forza la risoluzione adottata dal Parlamento Europeo il 12 luglio 2023 che fa riferimento alle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione Europea e allo stato dell'Accordo di Dialogo Politico e Cooperazione poc’anzi citato. La ragione secondo l’organo dell’ANPP sarebbe nelle affermazioni prodotte dal Parlamento giudicate diffamanti e alla stregua di un giudizio morale riguardo la realtà cubana e i rapporti che essa intrattiene con altri paesi. Nella dichiarazione cubana si lamenta anche l’influenza degli Stati Uniti nel tentativo di isolare Cuba a livello internazionale. Riguardo, infine, i rapporti con il gigante russo, lo scorso maggio Cuba e la Federazione hanno firmato una serie di accordi di cooperazione bilaterale in ambito economico, finanziario, energetico, trasporti, agricoltura, comunicazioni, salute, formazione e turismo, in un’ottica di un maggior coinvolgimento di Mosca nell’implementazione del piano nazionale di sviluppo economico e sociale al 2030 (MAECI, 2023).

5. Conclusioni

La Costituzione cubana attuale ha il merito, nonostante molte contraddizioni, di riuscire a coniugare socialismo, elementi di economia di mercato e un moderno catalogo di diritti (Flamini, 2019). Essa, lo si affermato più volte, rappresenta lo sforzo del legislatore cubano di “tenere in piedi” un sistema istituzionale del tutto peculiare, nel segno della continuità politico-ideologica, al netto di alcune necessarie innovazioni imposte dall’agenda politica internazionale. Anche se Fidel Castro non c’è più, come fa notare Loris Zanatta (2012), la sua creatura è orgogliosamente sopravvissuta sia all’implosione del comunismo novecentesco che alla Guerra Fredda e quindi le ragioni dell’intimità della Cuba castrista sono da ricercare altrove, non certo in un modello che, al di là di questo indubbio successo, resta altrettanto un fallimento storico. Quest’ultimo aspetto per Zanatta consisterebbe «nel mancato conseguimento del l'obiettivo principe di ogni populismo trionfante, ossia la creazione di una società omogenea, composta non da uomini e donne uguali per diritti e opportunità, bensì da individui identici perché cellule di un solo organismo unite da una visione del mondo condivisa a priori» (Zanatta, 2012). Lo stesso Castro, in una delle sue ultime interviste, affermava ironicamente che il socialismo non funzionava neppure più a Cuba (Carroll, 2010), ma la sua stessa esistenza fisica ha simboleggiato fino alla fine anche la sopravvivenza della sua Cuba al secondo XX secolo, in primis all’isolamento e alla pressione statunitense, non a caso concretamente rappresentata da embargo commerciale la cui durata non ha eguali nella storia (Chiaruzzi, 2021).

Altra considerazione utile su un tema che non si è potuto affrontare in questa sede è la contestualizzazione del costituzionalismo cubano finora descritto nel solco di quello latino-americano, particolarmente fecondo di spunti per gli studiosi negli ultimi anni. Secondo Mastromarino (2020), però, l’esperienza rivoluzionaria cubana è difficilmente inquadrabile in questo filone riguardante quello spazio “più culturale che geografico chiamato America Latina”. Anche se il testo del 2019 parla di «voluntad de integración y colaboración con los países de América Latina y del Caribe»[36], a parere di questa dottrina e riprendendo quanto descritto in apertura del lavoro, le radici costituzionali di Cuba «traggono linfa da falde assai ramificate del quadro geopolitico mondiale, stemperando l’influenza che le tendenze del costituzionalismo regionale contemporaneo avrebbero potuto esercitare sull’isola» (Mastromarino, 2020). Infatti, il linguaggio usato nella Costituzione riesce a preservare le idee rivoluzionarie e socialiste ammodernandole -e senza stravolgerle-, consentendo al regime di avere una Carta fondamentale parzialmente più in linea col nuovo millennio: una sorta di commistione (da prendere con assoluta cautela) tra i principi del 1940 e quelli del 1976.

Proprio questa conclusione pone qualche perplessità in merito al destino della modernità cubana e al ruolo che essa potrà avere sullo scenario internazionale, sempre più frammentato e attraverso da ogni sorta di crisi possibile, dalle più recenti catastrofi climatiche alla dramma pandemico e fino ai terribili scenari di guerra che provengono dal Medio Oriente e dall’Ucraina, senza contare altri fattori ormai globali come le migrazioni e le costanti violazioni dei diritti umani. Quell’impegno militare terzomondista mirato ad esportare la rivoluzione altrove e che nell’immaginario collettivo ha accompagnato gli anni immediatamente successivi al 1959 è ormai seppellito da tempo sotto cumuli di macerie, soprattutto economiche, che tengono tuttora Cuba col fiato corto. Nonostante il successo turistico e la recente fama dovuta ai suoi medici inviati in giro per il mondo durante le prime fasi della pandemia, l’isola non riesce ad emergere con forza sulla scena internazionale e, al momento, l’attuale amministrazione Biden, seppur meno intransigente rispetto alla precedente, non pare avere la “questione cubana” in cima alla propria agenda.

L’ammodernamento della Costituzione, in ogni caso, non ha minimamente intaccato il potere del PCC (Chaguaceda, E. Viera Cañive, 2021), seppur l’economia socialista negli ultimi decenni si sia gradualmente aperta agli investimenti esteri e ai privati. Quest’ultimo aspetto può sembrare distante dall’argomento principale ma potrebbe in futuro essere lo strumento principale -se non l’unico- per attrarre capitali sull’isola e renderla più vicina alla sfera nordoccidentale senza mettere in discussione le fondamenta del regime, inquadrando anche in questo caso la vicenda cubana come una necessaria operazione di equilibrismo istituzionale tra economia moderna e principi socialisti (ovviamente in un senso ben lontano da quello cinese, per esempio). Il testo solenne attuale sostanzialmente, come fa notare Cuocolo (2020), ha confermato i quattro pilastri del precedente a partire dall’affermazione della proprietà socialista dei mezzi fondamentali di produzione come forma principale di proprietà ed il rifiuto categorico del sistema di produzione capitalista basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Altrettanto viene affermato il “vecchio” principio di distribuzione socialista che invita ciascuno a dare a ciascuno secondo le proprie capacità e il proprio lavoro. L’ultimo pilastro riguarda il riconoscimento della pianificazione statale quale componente centrale del sistema di direzione dello sviluppo economico. Lo studioso fa notare come: «Fra gli aspetti di maggior rilievo [...] la nuova Costituzione qualifichi la proprietà socialista dei mezzi di produzione quale forma “principale” di proprietà. Tale aggettivazione ha favorito diverse interpretazioni in dottrina. In attesa di vedere quali ripercussioni pratiche avrà, si può senz’altro dire che la proprietà socialista è mantenuta come forma ordinaria, rivestendo le altre proprietà un carattere eccezionale» (Cuocolo, 2020).

Riprendendo quanto detto in apertura, è tempo di chiedersi quale sia il futuro di Cuba. Impossibile percorrere la strada nordcoreana o cinese, la prima palesemente fallimentare e la seconda forte di un capitale umano ed economico ineguagliabile; inoltre, i cosiddetti asian values risultano astrattamente più adattabili a certe privazioni insite i quei sistemi politici, rispetto all’inevitabile collocazione “occidentale” di Cuba, emergente dal contenuto stesso delle Carte tra il 1940 e il 2019. Sicché pare essere proprio il sistema politico cubano l’unico ostacolo tra Cuba e una piena modernità, nell’accezione tipicamente nordatlantica. Questo è uno dei tasti sul quale i diversi presidenti statunitensi hanno dal 1959 in poi insistito: il ritorno di Cuba ad una normalità più vicina agli interessi occidentali e dell’ordine internazionale liberale. Pertanto, nonostante Cuba sia e resti in mano al PCC rappresentando l’anomalia dell’emisfero occidentale (citando quel discorso di Bush del 2002), sicuramente più dei paesi socialisti asiatici presenta al suo interno degli spiragli che, magari in un futuro per ora lontano, seppelliranno o incrineranno un sistema politico-ideologico non supportato dal fanatismo pseudoreligioso nordcoreano, né dalla potenza economica e diplomatica conquistata in quattro decenni dalla Cina (Locatelli, 2012). A quel punto ci sarebbe bisogno di una Costituzione ex novo, ma ancora prima servirebbe una rottura dal basso, come fu a suo tempo quella dell’M-26-7. Sicché Cuba resta, come si diceva in apertura, vittima di un passato distante nel tempo che ne condizionerà ogni ridefinizione identitaria nelle future spinte al cambiamento (Chiaruzzi, 2021).

L’alternativa, più plausibile, Costituzione alla mano, è una Cuba a guida politica comunista anche nei decenni a venire, ma costretta a “adattarsi” all’economia occidentale inglobando capitali esteri e forse, per quella via, ipotizza alcuna dottrina, essere sostenuta verso una transizione democratica (al prezzo del sacrificio dei principi strettamente rivoluzionari) con l’intervento delle maggiori agenzie e organizzazioni internazionali, nonché di ONG e, non da meno, da un interessamento diretto degli Stati Uniti (D.L. Lopez Garcia et al, 2017). Probabilmente, al di là degli stimoli provenienti dal rapido mutare della geopolitica mondiale e regionale, le aperture già introdotte almeno in campo economico consentono a Cuba di accrescere gradualmente la propria proiezione nelle relazioni internazionali (Orrù, 2020).

Nel caso parte di questo scenario dovesse avverarsi, a quel tipo di internazionalismo ormai lontano anni luce da quello proletario potrebbe sostituirsene uno meno rivoluzionario e meno isolato dal resto del mondo, consentendo a Cuba di essere finalmente trattata dal mondo nordatlantico alla pari e non come uno “stato canaglia”, soprattutto se i progressi sui diritti umani saranno incoraggianti. Il riferimento è a una delle tesi proposte da Kupchan (2013) sulla gestione di “casi” come Cina e Russia o delle potenze emergenti come Turchia e Iran nel contesto delle relazioni internazionali. Secondo il celebre politologo finché il mondo occidentale, guidato dagli Stati Uniti, tratterà queste realtà come null’altro che paesi terroristi o minacciosi, sarà molto difficile giungere quantomeno a degli standard minimi di governance (definita “responsabile”) globale ampiamente condivisi.

 

 

 

 

 

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[1] Profesor de la Università Degli Studi Della Campania “Luigi Vanvitelli”, ORCID: https://orcid.org/0009-0001-5057-4374. Correo: mario.rafaniello@unicampania.it

[2] Dalla Costituzione del 1901 ad oggi. La Repubblica di Cuba nacque il 20 maggio 1902 a seguito dell’ottenimento dell’indipendenza formale dagli Stati Uniti e delle vicende dalla guerra ispano-americana, terminata col Trattato di Parigi del 10 dicembre 1898. Con esso la Spagna rinunciava ad ogni pretesa di sovranità su Cuba che nel frattempo era stata occupata militarmente dagli statunitensi.

[3] Si tralascia quella del tutto marginale del 26 giugno 1978. Essa modificava l’art. 10 cambiando il nome dell'Isla de Pinos in Isla de la Juventud.

[4] Il “Movimiento 26 de Julio” era la formazione paramilitare capeggiata dai fratelli Castro e nata con l’obiettivo di liberare Cuba dal giogo di Batista. Il nome è un omaggio all’assalto fallito alla caserma Moncada del 26 luglio 1953.

[5] Per una cronistoria delle date salienti del governo di Fidel Castro si rimanda al link https://www.jpost.com/international/key-dates-in-fidel-castros-government-in-cuba

[6] Un precedente importante si ebbe nel 1939, poi risolto nel mese di dicembre da un nuovo accordo che ristabiliva definitivamente il sistema di importazione dei contingenti di zucchero.

[7] Discurso pronunciado por el Comandante en jefe Fidel Castro Ruz en las honras fúnebres de las víctimas del bombardeo a distintos puntos de la república, efectuado en 23 y 12, frente al cementerio de Colón, 16 de abril de 1961, su www.fidelcastro.cu/it/discursos/discurso-en-las-honras-funebres-de-las-victimas-del-bombardeo-distintos-puntos-de-la

[8] Testo disponibile su www.cuba.cu/gobierno/discursos/1961/esp/f010561e.html

[9] Nel quale viene citato direttamente anche Fidel Castro così come la sua rivoluzione vittoriosa.

[10] «Por los patriotas que en 1868 iniciaron las guerras de independencia contra el colonialismo español y los que en el último impulso de 1895 las llevaron a la victoria de 1898, victoria arrebatada por la intervención y ocupación militar de imperialismo yanqui».

[11] Termine spagnolo per “yankee”. In America Latina talvolta ha una valenza dispregiativa in senso antistatunitense.

[12] Al contrario, l’art. 4 Cost. ribadisce che «el sistema socialista que refrenda esta Constitución, es irrevocabile», mentre l’art. 229 Cost. ne vieta espressamente la revisione ponendo una sorta di “clausola di eternità”.

[13] Per approfondimenti si consiglia El internacionalismo en la política exterior de Cuba, su www.ecured.cu/El_internacionalismo_en_la_pol%C3%ADtica_exterior_de_Cuba

[14] Fidel Castro: “noi abbiamo scelto il socialismo perché è un sistema giusto”, 2018. Su it.cubadebate.cu/notizie/2018/04/16/fidel-castro-noi-abbiamo-scelto-il-socialismo-perche-e-un-sistema-giusto/

[15] Cfr. art. 9.1: “La Constitución y las leyes del Estado socialista son expresión jurídica de las relaciones socialista de producción y de los intereses y la voluntad del pueblo trabajador”.

[16] Cuba aderì nel 1948 alla costituenda Organizzazione degli Stati Americani e ne fu espulsa nel 1962 con una risoluzione. Venne riammessa nel 2009 con un’altra risoluzione, il cui testo è consultabile al link www.cubainformazione.it/2009/mondo/osa.html

[17] Cuba entrò a far parte dell’ONU il 24 ottobre 1945. L’Organizzazione però verrà inserita nella Costituzione solo nel 1992.

[18] Questi effetti del tracollo cubano furono documentati analiticamente dagli esperti del CMAJ (Canadian Medical Association Journal) in una pubblicazione del 2008 (Health consequences of Cuba's Special Period. Consultabile al link www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2474886/

[19] Cfr. La Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo recante “Relazioni tra l'Unione Europea e Cuba”, COM(95) 306 def. Del 28 giugno 1995.

[20] Testo disponibile al link www.fidelcastro.cu/es/documentos/informe-central-presentado-al-iii-congreso-del-partido-comunista-1986

[21] Organo competente ex art. 141 alla modifica costituzionale.

[22] L’ANPP, in una sessione appositamente convocata, approvò il testo all’unanimità.

[23] Questa affermazione si rese necessaria in un momento storico che, all’indomani del collasso sovietico rischiava di vedere l’isola alla mercé delle influenze statunitensi.

[24] «La República de Cuba es un Estado socialista de obreros y campesinos y demás trabajadores manuales e intelectuales».

[25] Fu succeduto dal fratello Raul, Segretario generale per poco più di un anno.

[26] Testo del discorso disponibile al link www.fidelcastro.cu/en/discursos/speech-delivered-34th-session-united-nations-general-assembly-new-york-city

[27] L’espressione è usata per la prima volta pubblicamente da Bush in un discorso allo Stato dell’Unione il 29 gennaio 2002. In questa occasione vengono menzionati Afghanistan, Iraq e Corea del Nord.

[28] A farlo sarà il Sottosegretario di Stato John R. Bolton in un discorso del 6 maggio 2002, poco prima dell’attacco diretto del 20 maggio di Bush.

[29] Testo completo consultabile su georgewbush-whitehouse.archives.gov/news/releases/2002/05/text/20020520-1.html

[30] Gli artt. 3, 11 e 137.

[31] La Costituzione in vigore consta di 229 articoli, 11 titoli, due disposizioni speciali, 13 transitorie e due finali: in confronto all’anteproyecto e alla precedente -nella versione del 2002- si hanno rispettivamente 8 e addirittura 92 articoli in più.

[32] Rispetto al progetto del 2018, la Costituzione estende la sicurezza sociale dell’art. 68 (garantita dallo Stato) anche agli abuelos e agli otros familiares del menor de edad, in aggiunta ai già previsti trabajadores che dovessero incorrere in difficoltà dovute a invalidità, infermità, maternità o paternità.

[33] Da segnalare solo che nel Preambolo ora Fidel Castro viene citato per ben tre volte. Tra queste, come ispiratore del PCC al primo comma dell’art. 5. «El Partido Comunista de Cuba, único, martiano, fidelista, marxista y leninista, vanguardia organizada de la nación cubana, sustentado en su carácter democrático y la permanente vinculación con el pueblo, es la fuerza política dirigente superior de la sociedad y del Estado».

[34] Testo dell’Accordo consultabile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:22016A1213(01)

[35] Testo consultabile al link https://www.parlamentocubano.gob.cu/sites/default/files/documento/2023-07/italiano.pdf

[36] Cfr. Art. 16, lett. d.